Les Amis du Jumelage de La Tour de Salvagny 
F 69890 LA TOUR DE SALVAGNY

Lione capitale mondiale della gastronomia

La buona cucina è un punto d'onore per tutti. Anche andando a caso in un ristorante è difficile non essere soddisfatti

Gustoso cervello en brioche, galette lyonnaise semplicemente a base di patate e cipolle, elaborata pollastra ai tartufi e sontuose paupiettes di vitello dai numerosi ingredienti. Minuscolo territorio attorno a una grande città, il Lyonnais è crocevia di molteplici cammini nella Francia centrale tra la franca Contea e la Borgogna.

L’Auvergna e il Delfinato: come dire delle strade che recano dal Nord al Midi e all’Italia (Lione è a quattr’ore, circa, di treno da Torino), dal Levante al Ponente. La posizione geografica del capoluogo, alla confluenza di Rodano e Saône, spiega fra l’altro la rilevanza delle tradizioni della tavola, ciò che ha fatto definire Lione capitale gastronomica della Francia, ma anche capitale mondiale della gastronomia. “Naturale luogo di convergenza delle migliori produzioni della regione”, la definisce Le voyageur de goût edito da Diakronia in collaborazione con Sopexa (che s’occupa della promozione dei prodotti agroalimentari francesi nel mondo) e Maison de la France (che è l’Ente nazionale per il turismo francese). E spiega: “i polli della Bresse sono universalmente noti per il pregio della loro carni come i manzi Charolais; i fiumi regalano un ricco pescato e pure la produzione dei formaggi è eccellente nelle zone limitrofe: si pensi a quelli delle Alpi. Anche andando a caso in un qualsiasi ristorante è difficile capitare male, a qualunque livello, perché la buona cucina è un punto d’onore per tutti”.

I bouchons sono i tradizionali luoghi di ritrovo cittadini dei gourmet che non intendono spendere troppo denaro, al pari di bistrot e brasseries.

Tra queste la Brasserie Georges, fondata nel 1836 dall’alsaziano Georges Hoffher, offre terrina di fegato d’uccellagione alla maniera del foie gras, saucisson di Lione brasato, coq au vin – pollo al vino – come si fa in Borgogna o nella zona del Beaujolais.

Ma Lione e dintorni rappresentano soprattutto un concentrato senza pari di ristoranti stellati e pluristellati: tra questi non ha certo bisogno di presentazione Paul Bocuse, al Pont de Collonges lungo la Saône per settentrione.

Né, più su, a Mionnay, Alain Chapel; o, a Rillieux la Pape, il ristorante Larivoire ad appena sette chilometri dal centro. In questo si trovano la Tour Rose, casa rinascimentale nel Vieux Lyon ai piedi della collina di Fourvière; Pierre Orsi, tutto fiori e gioie del palato in place Kléber; le Léon de Lyon nella rue Pleney sulla penisola tra Rodano e Saône – oltre all’Arc en-Ciel del Pullman Part Dieu, il Fond Rose, il Bourillot, Nandron, Mère Brazier, Fédora, l’Alexandrin, l’Auberge de l’Ile – a godere di almeno una stella Michelin. Di almeno quattro stelle si parla invece a proposito della classificazione degli Uffici del turismo cittadini.

Tante stelle necessarie, infatti ai centri urbani francesi con un numero d’abitanti superiore a novantamila per poter entrare a far parte del Club des Grandes Villes de Franco di cui Lione è capofila e che includo anche la vicinasaint Elienne (le altre città sono Besançon, Digione, Lilla, Metz, Nancy, Nîmes, Orleans, Tolone). Scopi del prestigioso Club sono quelli di migliorare la qualità della vita cittadina, di attirare nuove imprese, di sedurre il maggior numero possibile di visitatori. A questi vien offerta una “Clé de la Ville”, una Chiave della Città, sotto forma di un “pacchetto” che gli permette di visitare a prezzi forfettari monumenti e musei cittadini da abbinare ai forfait compresi di albergo, ristorante e quant’altro e apprezzare, dunque, le numerose specialità del territorio.

A sessanta chilometri da Lione, tra le specialità di Saint-Etienne, si contano il “matafaim”, ammazzafame, che è una spessa crêpe fritta in padella e fatta, in origine, a base di farina di segalo leggermente salata: il “barboton”, ragoût di patate profumate con timo e alloro; la “soupe mitonnée” che nasce dal recupero del pane vecchio bollito a fuoco dolce e insaporito, secondo un uso invalso in epoca recente, con burro e verdure: tutto all’insegna di un’assoluta semplicità che caratterizza anche la pur ricca cucina, in elegante ambiente Art Déco, del tre stelle Pierre Gagnaire, nel centro di Saint-Etienne. Da qui , per far ritorno a Lione val la pena fare sosta a Veinne a La Piramyde: “poularde” ai tartufi, di cui si diceva, ma anche “gratin” di gamberi d’acqua dolce. O al Domaine de Clairefontaine con i suoi opulenti “foir gras” posati sul semplicissimo millefoglie di patate.

Vienne è, al pari di Lione, è una città d’arte di primo piano, con il vasto insediamento gallo romano di St.-Romain-en-Gal.

Quello della città maggiore, poi, con splendido anfiteatro, odeon, resti di botteghe d’età imperiale e un modernissimo museo che ne raccoglie le vestaglia, evoca il passaggio di Cesare, per due volte, all’incontro del Rodano e della Saona durante le guerre galliche. Più tardi sarebbero venuti gli insediamenti di amanuensi in epoca medioevale, l’introduzione delle banche e dell’arte della seta da parte dei maestri fiorentini e lombardi durante il rinascimento, la nascita del cinema con i fratelli Lumière sul finire dell’Ottocento, l’architettura d’avanguardia e la fioritura dei musei, dei teatri, dell’Opéra. Anche a tutto ciò è dovuta la crescita della “capitale gastronomica” di Francia, al centro del territorio d’Oltralpe”.

Beaujolais Nouveau, una festa mondiale

DAL NOSTRO INVIATO: MOULIN-A’-VENT – Nell’ora di disegno, la bionda Juliette, maestra di scuola elementare, non si stupisce più quando chiede ai suoi ragazzini di illustrare la propria regione: Paul, che ha otto anni, disegna sempre il fiume Saône con il colore bordeaux . Un fiume di vino nella fantasia di Paul, un affare per la regione del Beaujolais , ma anche per i suoi genitori che lavorano per la Maison Jadot, tra le migliori nel paesino di Moulin-à-Vent. Una fortuna economica per tanti che vivono nel piccolo regno delimitato da Macon, a nord, al confine con la Borgogna, e le alture del Lyonnais, a sud. I paesi del Beaujolais sono fatti di morbide colline sistemate in un giardino tenuto a vigneto di 22 mila ettari. «Qui non si rischia di morire di sete», ironizza Stephanie, che frequenta la scuola enologica beaujolaise a Villefranche-sur-Saône con il fermo proposito di diventare un bravo tecnico di cantina.

 

Ma non è tutto. I Pays des Pierres Dorées , così è chiamata questa regione dalle mille tentazioni enogastronomiche, ti possono rapire il tempo di fronte alle case fatte di pietra argillosa e calcare, monumenti di grande personalità. Con i contrasti palesi: il tanto del paesaggio e l’unicità del vitigno, il gamay noir a succo bianco, con il quale si sono prodotte 58 milioni di bottiglie del Nouveau, pronto a raggiungere, il terzo giovedì di novembre, ristoranti ed enoteche del mondo che organizzano feste e degustazioni nella notte dell’arrivo. Non sempre, tuttavia, è stato così: prima di imporsi il gamay ha subito molti contrasti. Nel 1395 venne addirittura messo ufficialmente al bando come «pianta molto cattiva e sleale», dal duca di Borgogna, preoccupato perché robusto e remunerativo, ma dal prodotto poco elegante. Il nobiluomo temeva che potesse rovinare la reputazione del «vino di Beaune», antenato dei cru borgognoni che si producevano nella sua regione, vendemmiando l’aristocratico pinot . Le cose sono cambiate e oggi si supera l’esagerazione. Philippe, giovane produttore dello Château de La Chaise, arriva a descrivere questo fresco rosso così: «Brillante, gambe lunghe e abito di velluto…». Connotazione forse più adatta a una sfilata di moda, ma Philippe insiste sulla filosofia: «Enfatizziamo un vino con la parola, per farlo piacere ancor di più quando lo si beve». Il dettaglio curato non manca. Basta osservare la piacevolezza delle etichette, piccoli capolavori di colore e felicità espressiva. Mommessin, ricco mercante della zona, proprietario del Clos de Tart , ha il vezzo di chiedere ogni anno a un artista di disegnare le sue etichette.

 

Il gioiello è rappresentato dai dieci cru del Beaujolais , e Chenas è il più raro e invidiato in quanto fu il favorito di Luigi XIII. Buona struttura, aromi di frutti e bosco, può invecchiare qualche anno. Meno conosciuto del prestigioso fratello Moulin-à-Vent , sistemato su un poggio vicino, va servito a 14 gradi, e rende molto se provato con capretto, carni in salsa e formaggi. Le bottiglie saranno pronte in primavera e qui i vignaioli ripetono cantilenosi, «aspettano di fare la loro Pasqua». Un gradino sotto troviamo i vini dei beaujolais villages , ricavati in 39 comuni, che rappresentano il 25% della produzione totale. Signore di queste terre è Georges Duboeuf a Romanèche Thorins dove ha creato un impero da 30 milioni di bottiglie, controlla circa 500 viticoltori e una ventina di cooperative. Una visita al suo museo vinicolo è d’obbligo.

 

Mauro Remondino
Fonte : Corriere della Sera 11 Novembre 2002